testo di Stefano Femminis
Predicatrice di esercizi spirituali. Milanese, 65 anni, Guia Sambonet (nella foto sopra) è approdata alla fede dopo un lungo itinerario umano e spirituale. Da 10 anni collabora con il Centro San Fedele e guida esercizi spirituali ignaziani in Italia e all’estero.
Da Macondo (il locale milanese che, seppure attivo per pochi giorni, segnò a suo modo il clima culturale della fine degli anni Settanta) a sant’Ignazio di Loyola, dall’ateismo agli Esercizi spirituali, passando per l’India, il Canada e gli studi di teologia. La ricostruzione dell’itinerario umano e spirituale di Guia Sambonet, 65 anni a novembre, figlia del celebre designer, meriterebbe uno spazio ben maggiore, ma qui ci focalizziamo su un aspetto specifico: il suo lavoro come guida di Esercizi spirituali, iniziato diversi anni fa e oggi sviluppato anzitutto come collaboratrice dei gesuiti del Centro San Fedele di Milano.
Ci può aiutare a capire da dove è partita?
Pur avendo io ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana, la separazione dei miei genitori quando ero ancora bambina mi escluse di fatto dalla comunità cattolica: a quel tempo era ancora vero che “i peccati dei genitori ricadono sui figli”. Dopo il liceo e la militanza nell’estrema sinistra, nel 1977 arrivano i 40 giorni di Macondo, un’esperienza collettiva, una proposta rivolta a tutti e in controtendenza rispetto al clima degli anni di piombo. Finita quella vicenda, partii alla ricerca di un maestro che mi accogliesse – a pezzi – e mi insegnasse tutto.
L’ha trovato?
Sì, in India, dove iniziai il mio cammino spirituale e scoprii la meditazione. Poi, nel 1981, il ritorno nel “mondo” e il percorso per costruirmi una professione. La ricerca spirituale – aperta a varie tradizioni religiose – proseguiva in un piccolo gruppo, guidato da una donna. Tramite lei giunse la “chiamata”: un invito ad abbracciare con coraggio la fede cristiana e a studiare la Bibbia. Dopo la morte improvvisa della maestra, nel 2000 volai negli Stati Uniti e, dopo l’11 settembre, mi spostai in Canada. Mi presentai in una casa di ritiri dei gesuiti in Ontario per un corso di Esercizi spirituali personalmente guidati (cioè basati sulla relazione uno a uno, direttore spirituale-esercitante, ndr), chiarendo che non avevo mai praticato la fede cattolica.
Come andò quel ritiro?
Servì di fatto a prepararne un altro, il “Mese ignaziano”. Poi mi traferii alla Facoltà di Teologia di Toronto per conseguire il Master of Divinity, che mi avrebbe permesso di svolgere il lavoro di cappellano in Canada. A pochi esami dalla fine del Master mi venne però negato il permesso di soggiorno: una teologa esperta di Esercizi non è tra gli ospiti più ambiti, soprattutto se non è più giovane e non ha famiglia là. Trasferii i crediti nel più breve Master of Theological Studies e, nel 2009, tornai in Italia, iniziando poco dopo a collaborare con i Gesuiti del San Fedele.
Venendo al suo lavoro attuale, forse è il caso anzitutto di chiarire che cosa si intende per esercizi spirituali, un termine che può avere accezioni diverse…
Solitamente, almeno in Italia, si intende un tempo di ritiro dedicato alla preghiera, alla relazione personale con Dio, all’approfondimento delle Scritture. Gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola sono uno dei molti modi di “fare” gli esercizi. La modalità più completa è il “Mese”, che corrisponde a un ritiro di 30/40 giorni. Ma gli Esercizi ignaziani possono essere fatti anche in tappe di una settimana ciascuna o nella vita ordinaria (i cosiddetti Evo), sempre con l’accompagnamento di una guida. In anni recenti, la Compagnia di Gesù ha aperto la formazione necessaria per “dare” gli Esercizi anche a donne e uomini laici. In molti istituti religiosi, poi, vi è l’uso di fare una settimana all’anno di esercizi spirituali ‒ non necessariamente ignaziani ‒, sotto la guida di un “predicatore”, scelto in genere dal Superiore provinciale.
Certamente lei non è l’unica donna, in Italia, a guidare gli Esercizi spirituali, ma altrettanto certamente la sua esperienza e quella delle tue compagne è ancora pionieristica. Che cosa deve accadere perché una donna che svolge questo servizio non venga vista come un’eccezione?
Le domande da porsi, a mio avviso, non riguardano quale spazio hanno o potrebbero avere nella Chiesa le predicatrici o le guide spirituali, ma piuttosto come si esprime – oggi – la vocazione di una donna ai ministeri che riguardano la “cura delle anime”, come si diceva un tempo. In altre parole: in che modo una donna scopre di aver ricevuto il dono di accompagnare nel cammino di fede altre persone, oltre ai propri figli, nel caso sia madre? E ancora, quali strumenti la aiutano ad alimentare in se stessa un amore a Dio in grado di contagiare altri, nel pieno rispetto per la libertà di ciascuno? Per quanto possa sembrare paradossale, sullo sfondo c’è ancora l’antico interrogativo se le donne abbiano o no un’anima… Perché se le donne hanno un’anima e se, in quanto dotate di anima, sono in grado di sentire attrazione per il regno di Dio, è del tutto naturale che desiderino portare altri a quel regno. Forse nella Chiesa esiste ancora qualcuno che possa contestare alle donne, sia consacrate sia laiche, la sincerità, la profondità e la santità di quel desiderio?
Nel concreto, come reagiscono di solito le persone, abituate a confrontarsi con un uomo?
Da parte maschile non ho notato particolari reazioni negative. Per esempio, è stato molto interessante proporre il metodo della contemplazione immaginativa ignaziana – nella veste di predicatrice di esercizi spirituali – ai padri Pavoniani in occasione del loro ritiro dell’estate scorsa. Certo, nessuno ha scritto il proprio nome nella lista dei colloqui personali proposti in parallelo alle mie istruzioni; poi, però, a uno a uno, quasi tutti sono venuti a raccontarmi di sé e della loro esperienza di preghiera sui brani biblici da me suggeriti. Non sarebbe accaduto se non mi avessero ritenuta degna di stima. Non ho sperimentato reazioni negative nemmeno da parte delle religiose: anni fa, in un ritiro personalmente guidato di otto giorni, mi è capitato di guidare tre suore. Ovviamente, si aspettavano un direttore spirituale gesuita, non una laica. Dopo qualche giorno ho visto, e hanno visto loro stesse, la loro anima volare. Con una di queste suore sono tuttora in contatto.
Una donna ha un modo di predicare gli Esercizi diverso da quello di un uomo?
Neppure tra i Gesuiti esiste un modo standard di dare gli Esercizi. Sono una donna, sono laica e offro a chi pensa di potersene giovare quello che ho imparato da altri/e e con altri/e. Non credo quindi che il punto stia nel fatto che a darli sia un uomo o una donna, ma nella scarsa diffusione della pratica dei ritiri spirituali presso i laici italiani.
Ha citato la “contemplazione immaginativa” con riferimento agli Esercizi spirituali, un tema a cui recentemente hai dedicato un libro. Di che cosa si tratta?
Ai tempi di sant’Ignazio era un metodo di preghiera noto, praticato e diffuso in Europa dalla devotio moderna. La novità e il genio degli Esercizi stanno nel combinare alla contemplazione immaginativa le istruzioni per il discernimento degli spiriti e per il discernimento della volontà di Dio. Questo libro non è un’interpretazione “femminile” del metodo di preghiera degli Esercizi. Molti padri gesuiti nel mondo e in Italia lo insegnano esattamente nello stesso modo. Quello che a me interessa è aiutare le persone a entrare in una relazione profonda con Gesù, con Dio, tramite gli Esercizi. E lo faccio partendo dalla mia preghiera. Potrebbe forse essere altrimenti? So per esperienza che solo il Vangelo può aiutarci a dipanare le innumerevoli matasse che incontriamo nel nostro percorso di vita. Passare questo strumento ad altri per me è “il” dono.
Il servizio che lei svolge è anche un osservatorio privilegiato sull’effettivo “riconoscimento” della donna nella Chiesa. Qual è la tua valutazione?
Devo confessare che vedo pochi, faticosi cambiamenti. Leggo molti discorsi e interviste che parlano di apertura alle donne nella Chiesa, ma le posizioni offerte loro sono solo amministrative, seppure magari di alto livello. Il terreno del sacro non si tocca mai. Nei fatti, almeno fino a oggi, le cose non cambiano. Mi ricorda la metafora che Gesù usa per distinguere la propria predicazione da quella di Giovanni Battista: i due bambini che giocano in una piazza. Il Battista è il bambino che suona a lutto, e nessuno lo ascolta. Gesù è il bambino che suona a lode, e nessuno lo ascolta. La posizione della donna nella Chiesa è simile: nessuno desidera giocare con lei. È come in una relazione sponsale: se la donna che hai accanto non ti diverte, se il fatto che abbia una sensibilità altra rispetto alla tua non ti incuriosisce, non ti stimola, quella relazione non sarà mai generativa.