Num, rogo, deterior Circaeis secta venenis ?
Tunc mutabantur corpora, nunc animi.
Pertanto, chiedo, questa comunità dell’Isola di Circe è più ammaliatrice di una pozione venefica?
Allora venivano mutati i corpi, ora gli animi.
C. Rutilio Namaziano (V secolo )
Palestre eremitiche, scale di Cristo, isole beate
Bernardo di Chiaravalle
Particolare del San Bernardo consegna la Regola agli Umiliati, di Simone dei Crocifissi; dato che Bernardo morì nel 1153, mentre la Regola fu consegnata circa nel 1200, si può ritenere che il personaggio rappresentato sia Raniero da Ponza (Ponza, 1130-Ponza, 1207) che, essendo stato cistercense, è identificato simbolicamente nel più noto abate di Clairvaux.
Le isole di Ponza, Zannone, Palmarola e S. Martino, appartenenti alla S. Sede, sono alla particolare tua cura e dipendenza affidate, col fare le nostre veci per la Santa visita in ogni biennio agli eremiti e servi di Dio colà esistenti.
Onorio III, Bolla del 17 agosto 1322, delega al Priore dell’abbazia di Fossanova
PONZA
Dai Farnese ai Borboni
(Paolo III, nato Alessandro Farnese, è stato il 220º papa della Chiesa cattolica dal 1534 alla sua morte. Nel 1540 autorizzò la fondazione della Compagnia di Gesù su proposta di Ignazio di Loyola.)
dal libro di Ernesto Prudente, “Biografia di un Paese”
Nel 1541 il papa Paolo III° regalò al proprio nipote, cardinale Alessandro Farnese, le isole ponziane perché si adoperasse “affinché l’isola e il porto di Ponza non siano il ricettacolo e la dimora di pirati e di altri ladroni del mare che depredano i lidi marittimi fino alle foci del Tevere”. Il cardinale Alessandro Farnese, a sua volta, diede le isole in enfiteusi al proprio padre, Pier Luigi Farnese, duca di Parma. Nel documento di trasmissione della proprietà si legge: “Perpetua censuazione delle isole e del monistero a favore del duca Farnese, coi legittimi discendenti mascolini; obbligato il censuario a fare per colonia riabitare con le altre la stessa Ponza; munire la preesistente Torre, restaurare il porto e fortificarlo, ed ogni altra novità necessaria per allontanare da detti luoghi il ricovero di pirati; nonché di potervi trar vantaggio dalle cave di pietre, miniere di argilla, vetro di rocca, salnitro, rame oro e argento; come pure fare scavi per antiche statue, immagini e cose preziose, che senza dubbio vi sono sepolte; similmente ogni diritto per la pesca sul mare di coralli e pesci; caccia di volatili”.
Gli eredi di Pier Luigi Farnese dimostrarono poco impegno nel presidiare le isole che rimasero covo dei pirati.
La proprietà delle isole passò nelle mani dei vari eredi Farnese fino a giungere ad Elisabetta, ultima del ramo.
Elisabetta sposò nel 1715 Filippo V° di Borbone, re di Spagna. Della sua dote personale, oltre al Ducato di Parma, fecero parte anche le isole ponziane. Ciò sollevò le ire della Chiesa che pretendeva di rientrarne in possesso per l’enfiteusi concessa dal papa Farnese (Paolo III) al nipote cardinale Alessandro che imponeva il passaggio della proprietà agli eredi: “solo maschi e legittimamente discendenti per via mascolina”.
Un guazzabuglio difficile da districare tanto che intervennero diverse potenze europee. Nacquero intrighi di ogni genere per accaparrarsi e assicurarsi alleanze e domini. Il fatto certo è che le isole rimasero ad Elisabetta e che, dal suo matrimonio con il re di Spagna, ebbe due figli: Carlo e Filippo. Quando il primogenito divenne re di Napoli con il nome di Carlo III° ebbe dalla mamma tutti i cespiti farnesiani comprese le isole ponziane.
L’arcipelago faceva parte del patrimonio privato del re.
Siamo ai nostri trisavoli. Infatti re Carlo nel 1734 inviò a Ponza un gruppo di famiglie ischitane per la colonizzazione dell’isola. Sbarcarono gli Scotti, i Conti, i Tagliamonte, gli Albano, i Mazzella, i Migliaccio, gli Onorato, i Sabatino, i Sasso, i Califano, i Guarnieri, i Coppa, i Cuomo, i Mattera, i Curcio, i Colonna, i Patalano, i D’Atri, i D’Arco, I De Sio, i Galano, I Cimino, i Califano, i Cuomo.
Essi si impiantarono nella parte centromeridionale dell’isola, dalla Rotonda della Madonna ai Conti, intorno al vecchio porto romano, prendendo possesso delle varie grotte già scavate da cui ricavarono le loro abitazioni.
La nuova Ponza non nacque come luogo di deportazione. Lo divenne poi quando sbarcarono le maestranze per eseguire i lavori di costruzione del porto, della Chiesa, degli edifici necessari per l’alloggiamento della truppa, occorrente per la difesa del territorio, degli uffici pubblici, delle fortificazioni e dei caseggiati per chi ancora era senza casa.
Le maestranze erano state prese dalle patrie galere ed erano sottoposte a severe pene disciplinari.
Nel 1772 giunse a Ponza un altro scaglione di famiglie che presero possesso della parte nord-occidentale dell’isola, l’attuale Le Forna. Erano i Vitiello, i Sandolo, i Romano, i Morlè, i Rivieccio, i Di Giovanni, gli Aprea, i Balzano, gli Avellino, i Di Meglio, i Feola, gli Iodice.
Questo secondo gruppo di famiglie proveniva da Torre del Greco.
Le due comunità etniche erano differenti per usi, costumi e parlata.
In questo periodo vennero fatti imponenti lavori: il porto venne costruito sull’antico porto romano e a monte del porto vennero costruiti tutti i caseggiati che si affacciano su via Pisacane, che allora venne chiamato Corso Farnese. Questa strada è opera di quel periodo come lo furono la Via del Corridoio e più in alto Via Parata e Corso Umberto. E a quel periodo appartiene l’attuale Piazza Pisacane che per portarla al livello attuale venne riempita di terra dopo aver eretto il muro che è l’attuale balconata. Quel muro come quelli di tutte le opere che formano la parte corona del porto, dal torrione del Lanternino al caseggiato soprastante la scalinata che dalla banchina porta in Piazza Gaetano Vitiello, hanno le loro basi sulla roccia che è stata messa recentemente allo scoperto durante i lavori della rete fognante. Le pietre usate sono di basalto. Scardinarle è un problema serissimo.
CRISTIANITÀ E MONACHESIMO
http://www.comune.ponza.lt.it/page.php?27
Con la presenza di questi riferimenti religiosi, non fu difficile per i monaci trovare oltre alla sicurezza fisica anche la pace dell’anima, e la cristianità sull’isola diventò il fulcro della vita isolana stessa. La presenza di eremiti e monaci favorì la nascita di diverse abbazie, monasteri e chiese, di cui oggi purtroppo non vi è quasi più traccia. Con queste premesse l’isola diventò ben presto un fiorente centro del monachesimo, ed a farsene promotori furono i Benedettini. Già costruttori del primo convento di Santa Maria. Questi ultimi si dedicarono alla costruzione di quasi tutti i conventi che c’erano sull’isola e sulle isolette vicine (Zannone, Ventotene, Palmarola, S. Stefano). Proprio su una di queste isole: Zannone, sono ammirabili ancora ben conservati, i resti del convento benedettino che poi nel 1223 per opera di Onofrio III, passò sotto la cura dei Cistercensi. Onofrio III affidò la vigilanza di tutti i conventi insulari ai religiosi dell’abbazia di Fossanova, che era stata eretta dai monaci Citeaux (Cistercium – da cui Cistercensi). L’avvento dei Cistercensi coincise con il progressivo abbandono delle isole, poiché le scorrerie dei pirati, oramai incontrastati dominatori del mediterraneo, divenivano sempre più frequenti e sanguinarie tanto da far prevalere le ragioni di sopravvivenza su quelle della spiritualità. I segni dell’esodo migratorio ci sono ancora oggi sul continente. I monaci fuggiaschi costruirono due conventi : uno è il monastero di Santo Spirito di Zennone costruito a Gaeta nel 1295 e dedicato al convento abbandonato a Zannone , ed un altro è la chiesa di Santa Maria di Ponza e S. Anastasio, fondato a Formia per ricordare l’omonimo monastero di Ponza. Con questi due trasferimenti la presenza monastica ufficialmente organizzata finì.
La Chiesa, quasi sempre accostava al dominio spirituale quello temporale, ed essendo inequivocabilmente interessata alle isole pontine, dopo quasi 200 anni e con esattezza il 23 giugno 1479 per opera di papa Sisto IV decise di offrire a coloro che si stabilivano sull’isola condizioni di favore.
Papa Sisto IV, oltre a dare in enfiteusi l’isola ad alcuni cavalieri napoletani, firmò un editto che accordava agli isolani : << Di poter con ogni sicurezza andare e venire dai stati pontifici, da essere trattate come persone d’abbene, commerciarvi, immettervi ed estrarne qualunque genere per uso dell’isola con l’esenzione da ogni gabella municipale, o dazio doganale, fulminando la scomunica a tutti coloro che cercavano frastornare l’adempimento>>. Come si può intuire i numerosi vantaggi offerti agli isolani e la severa punizione per chi violava gli accordi, manifestava la ferma volontà del pontefice a mantenere una popolazione stabile sull’isola. Quest’editto fu un avvenimento veramente eccezionale per l’epoca in cui fu emanato, e per quasi 350 anni fu un esempio di generosità e liberalità, purtroppo l’esperimento fu fallimentare, poiché fino ai primi anni del 1800 i monaci e gli abitanti spesso venivano catturati dai pirati e venduti come schiavi, e l’isola non riusciva a popolarsi.